In momenti di gravi difficoltà, che coinvolgono anche il campo sociale e relazionale, molti s’interrogano sul ruolo dei club e delle associazioni in una società in rapido cambiamento, con tendenze che si modificano e con un certo sbandamento che colpisce tutti gli strati della società. Di fronte a tendenze di forte antipolitica, la tentazione, per fortuna non generalizzata, sembra quella di allontanarsi dalla partecipazione e di chiudersi all’interno di una campana di vetro nella quale siano presenti solo elementi tradizionali, cercando di escluderne altri che, invece, per tanto tempo hanno caratterizzato la vita associativa. Non a caso anche nel settore dell’abitar viaggiando, non so con quanta capacità di vedere oltre la collina, si stanno tirando i remi in barca nel campo della partecipazione e del coinvolgimento sociale. Nulla di nuovo, per carità: in momenti di crisi la prima tentazione è quella di chiudersi nel proprio orticello, di alzare uno steccato e di impedire incursioni esterne. E’ proprio in questi momenti, però, che chi è in grado di progettare un futuro a tutto campo prende, come nel ciclismo, chilometri di distacco che faranno la sua fortuna al momento della ripresa. Le associazioni e i club sono il vero e unico sindacato per chi ama il turismo fatto con i veicoli ricreazionali e ama trascorrere il tempo libero “sotto le stelle”: la fortuna e la crescita del movimento associativo, nei primi anni Novanta, è dovuta proprio alla grande partecipazione, alla capacità di saper coniugare le esigenze e di dare delle risposte puntuali. Ricordare il super bollo, i portabici, la nascita delle aree di sosta, l’approvazione delle leggi regionali sul turismo di movimento vuol solo consentire di andare con la mente ad alcune battaglie che convinsero migliaia di persone della bontà dei club. Così come il “matrimonio” col mondo della disabilità impose la questione sociale del turismo plein air e, da questa, nacquero leggi che ancor oggi agevolano il mondo della disabilità nell’approccio col turismo di movimento. Certo non è facile cavalcare la tigre della partecipazione in momenti nei quali le tendenze indicherebbero tutt’altre direzioni, ma non è possibile costruire il futuro se non si ha il coraggio di immaginarlo, di sognarlo e anche di indirizzarlo verso obiettivi che si vuole raggiungere. Certo, negli anni “ricchi”, si sono preferite altre strade, quelle dell’impegno nel viaggio sostituendosi magari anche alle agenzie: elementi positivi che costituiscono un valore aggiunto al movimento camperistico organizzato, ma non la finalità vera, quella in sostanza che forma la ragione per la quale una persona decide di pagare la tessera e di associarsi. E’ un invito alla riflessione, il mio: anni fa, anche dalle colonne di questa rivista, lanciai l’appello alla partecipazione invitando chi ci credeva a candidarsi alle elezioni nei propri comuni: nacque una vera schiera di camperisti consiglieri comunali e, negli strumenti urbanistici, si formarono le previsioni delle aree di sosta e si rese concreto una grande apertura degli enti locali, anche di quelli a forte vocazione turistica, nei confronti del turismo sotto le stelle.
Credo che sia giunto il momento di ripetere quest’operazione: il distacco tra associazioni e mondo amministrativo si sta allargando (si vede dal crescere di ordinanze e divieti e da una forte insofferenza): questo è dovuto a un calo partecipativo, penso, figlio degli anni del benessere. Ora, di fronte alla crisi e alle difficoltà, ognuno è chiamato a dare qualcosa di se stesso. Credere nel turismo di movimento vuol dire credere anche nelle sue potenzialità economiche, sociali e occupazionali: il bene del Paese vale un po’ d’impegno da parte di tutti e qualche riflessione seria all’interno del nostro mondo partecipativo.
Quando la crisi sarà finita, dobbiamo esserci e trovarci in prima linea, nell’interesse del nostro hobby e, soprattutto, del nostro Paese.
Beppe Tassone