Su un palcoscenico di fortuna, e da supporre in qualche quartiere non proprio bene di Milano, un Maestro, capocomico all'antica, si affanna a far interpretare a un gruppo di attori comicamente scalcagnati nientemeno che il capolavoro di Manzoni. Interesse principale dell'autore è quello di fare del romanzo uno specchio in cui riflettere i suoi anni tribolatissimi che, a ben vedere, sono anche i nostri. Quante pesti ci affliggono! Quella del degrado dell'ambiente, dell'indurimento dei cuori, dell'omologazione delle coscienze, dell'allontanamento graduale dalla realtà, dell'incapacità di vedere la trasformabilità della società. Del resto, il mettere alla prova è, in tutti i sensi, il cuore del lavoro registico, nel doppio senso di mettere in prova la praticabilità teatrale di un testo o comunque di un'ipotesi scenica, e di verificare la sua tenuta in una situazione storica mutata. E su queste premesse si basa il lavoro di Tiezzi: non una spiegazione del romanzo ma, come desiderava Testori, una «lezione e un monito» perché I Promessi Sposi sono «il romanzo della storia, e il popolo incarna questa storia nella libertà più assoluta». In allegato il comunicato stampa.